Meno 31,3%. È la percentuale ISTAT che descrive il calo della produzione del campo automotive italiano da febbraio 2024 a febbraio 2025. Dodici mesi in cui sono diminuiti sia la produzione di veicoli commerciali e automobili (-33,5%) sia di componentistica (-25,6%).
Secondo ANFIA, l’Associazione Nazionale Filiera Automobilistica, il calo arriva a sfiorare il 50% se si prendono in considerazione solo le automobili: solo 22mila sono quelle prodotte a febbraio 2025.
Preoccupa anche il capitolo export, che solo per gli autoveicoli vale 17,6 miliardi di euro. Gli Stati Uniti rappresentano il principale approdo del mercato italiano, con una quota del 18,9%, seguiti dalla Germania col 15,3%.
Entrambi i Paesi stanno però diventando contesti sempre più inospitali per investire: gli USA per via dei dazi imposti da Trump sulle auto, la Germania per la spirale recessiva che da mesi investe l’economia del Paese e che rischia di precipitarlo in una crisi mai vista dal Dopoguerra.
Qual è, dunque, il presente e il futuro dell’automotive italiano?
«I dazi preoccupano e l’UE non fa abbastanza».
«I numeri parlano da sé – spiega il direttore generale di ANFIA Gianmarco Giorda – e descrivono uno scenario preoccupante anche alla luce dei recenti provvedimenti dell’Amministrazione Trump in tema di dazi».
Per reagire, la Commissione europea ha presentato un “Piano d’azione per l’Automotive” lo scorso 5 marzo, che tra le altre cose metterà a disposizione un miliardo di euro di finanziamenti pubblici e privati in due anni da investire in innovazione nel campo automobilistico.
Nel piano, inoltre, la presidente Ursula Von Der Leyen ha inserito la promessa di presentare entro fine mese una modifica mirata al regolamento sulle emissioni CO2 per calcolare su tre anni (2025-2027) e non su uno la conformità agli standard scattati quest’anno sulle vendite, che impongono alle Case di non oltrepassare il limite di 93,6 grammi di CO2 per chilometro percorso a livello di flotta.
«Ma noi abbiamo delle perplessità – spiega Giorda – e auspichiamo una revisione che implementi misure rivolte alla salvaguardia della competitività delle imprese».
Imprese che in Italia ammontano a 5mila451, impiegando 272mila dipendenti per un totale di 113,3 miliardi di euro di fatturato, pari al 9% del totale e al 5,8% del PIL italiano. Il settore automotive, tra l’altro, genera per le casse dello Stato un introito di 71 miliardi di euro l’anno.
La mannaia americana
I dazi negli USA preoccupano il mercato italiano, che oltre l’Atlantico esporta volumi consistenti di veicoli. Mercoledì scorso il presidente americano Donald Trump ha detto che i dazi del 25% imposti sulle auto importate dal Canada negli Stati Uniti potrebbe salire, e la paura è che possa succedere la stessa cosa per l’Unione Europea.
«Tutto quello che stiamo facendo è dire: non vogliamo le vostre auto, con tutto il rispetto. Vogliamo produrre le nostre auto».
Ma il previsore del settore automobilistico S&P Global Mobility ha stimato che nel corso del 2025 la vendita delle auto sul mercato americano calerà di 700mila unità rispetto alle aspettative, che parlavano di cifre superiori ai 16 milioni di veicoli.
Secondo S&P, «solo le revisioni dovute all’interruzione globale della produzione nel 2020 a causa del COVID e alla crisi finanziaria globale del 2008–09 sono state più rilevanti di quelle attuali in termini di vendite e produzione».
La crisi tedesca
A questo si aggiunge la crisi della Germania, fino a pochi anni fa l’economia più in salute del Vecchio Continente. Persino le finanze di Volkswagen, il più grande gruppo industriale del Paese, sono in crisi.
La Casa ha infatti annunciato l’anno scorso la chiusura di tre stabilimenti in Paese, scatenando la rivolta dei sindacati, che per la prima volta dopo decenni di concertazione aziendale hanno chiamato gli operai a scendere in piazza.
Le cause dello shock sono presto dette: dall’interruzione nelle forniture di gas a basso prezzo proveniente dalla Russia alla concorrenza della Cina nell’export. La mancanza di investimenti da parte della politica tedesca, ossessionata dal controllo del debito pubblico, ha fatto il resto.
Risultato: il pil tedesco cala lentamente ma costantemente da almeno due anni. E gli effetti sull’Italia si faranno sentire. Dopo essersi ridotto da 168,5 a 162,5 miliardi di euro tra il 2022 e il 2023, l’anno scorso lo scambio commerciale tra Italia e Germania è calato ancora di 6,5 miliardi, di cui 3,7 nell’export.
A soffrire di più nel Belpaese, manco a dirlo, è il settore automotive, con una discesa del nove per cento, soprattutto nelle esportazioni della componentistica.